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VIENI A BALLARE IN PUGLIA
09.07.2013 16:13
L’altra sera ero in giro per Liverpool Street quando tra la visione distratta dei soliti cartelloni pubblicitari ne vedo uno con una spiaggia, un ombrellone stile Caraibi e un mare limpido, cristallino. A campeggiare in alto una scritta imponente in un inglese conciso che poteva essere capito da chiunque: “We are in Puglia”: Non nego che inizialmente la cosa mi ha lasciato esterefatto, ero felice di vedere la mia regione pubblicizzata oltremanica. Una volta tanto, ho pensato, si parla delle tante cose belle che purtroppo in molti non conoscono. Non faccio in tempo ad uscire dalla metropolitana e di fronte a me vedo subito un autobus di quelli tipici londinesi, rosso, imponente e a due piani. Sulla fiancata trovo un altro cartellone che sponsorizzava un’altra località turistica paradisiaca e ancora una volta una scritta gigantesca: “We are in Puglia”. Inizio a provare una sensazione strana, un misto tra felicità e stupore. Nel continuare la mia passeggiata, ne incontro altri di questi cartelli, un tappezzamento puntiglioso, frutto di una imponente campagna pubblicitaria. Potere del marketing. Questo è stato il mio primo pensiero. Ma, forse, stavolta è per una giusta causa. Ho pensato che probabilmente si cercava di recuperare un’immagine perduta dagli ultimi eventi poco gloriosi avvenuti dalle mie parti.
Non ci penso più. Faccio la spesa, arrivo a casa, pronto per preparami la cena , distrattamente apro Facebook. Leggo decine di commenti e guardo fotografie nelle quali diversi amici che vivono a Taranto, denunciavano uno strano odore e una chiazza oleosa in mare. E’ sceso il temporale ieri a Taranto, evento non raro dalle mie parti, e probabilmente uno dei soliti fulmini che si sprigionano in queste tempeste estive ha provocato un black-out alla Raffineria Eni. Risultato? Una chiazza di greggio non ancora circoscrivibile che ci riporta alla memoria le scene della prima Guerra del Golfo. Un mare nero-petrolio che uccide per sempre ogni forma di vita, metafora di un sistema industriale che sta ammazzando lentamente la città che lo ospita. Un danno ecologico che ancora nessuno è riuscito a quantificare. Come ben pochi sanno fuori da Taranto, oltre all’ormai nota Ilva, lo stato italiano ci ha dato l’onore di ospitare l’Eni, la Cementir, Evergreen e la Marina Militare. Taranto è nota per il suo clima favorevole, per la ricchezza della sua natura, per la mancanza di eventi sismici e vulcanici, e da una posizione geografica che le permette di essere punto strategico al centro del Mediterraneo. Una città fondata su un’insenatura che le permette di essere inespugnabile via mare. Questo è uno dei motivi per i quali nella storia in molti se la sono contesa. Lo avevano capito già i greci migliaia di anni fa. Questo è uno dei motivi per il quale quando 50 anni fa si doveva creare un polo industriale lo si è costruito a Taranto, sfruttando la povertà della gente si è fatto credere che il benessere fosse l’industria pesante. E' così lentamente e inesorabilmente, è sparita quella condizione contadina, fatta di genuinità, artigianato, di pesca e di allevamento. Giorno dopo giorno è cominciato quel processo che ha portato a modificare il cervello degli abitanti del posto alla monocultura dell’industria sporca dell’acciaio e delle raffinerie. Quello che doveva essere un solo vantaggio (posizione geografica e condizioni climatico ambientali eccellenti) si è tramutato in un boomerang. Chi doveva lucrare ha avuto lungimiranza nel venire a sfruttare, a deturpare, a stuprare una terra, con specchietti per le allodole, problematiche alle quali le nostre inesperte generazioni precedenti non erano pronte ad affrontare. Accecati dal milione al mese, dalla macchina nuova e dal televisore a colori in tutte le stanze. Una situazione di benessere apparente che ci ha fatti sprofondare in due decadi nella condizione di città più inquinata d’Europa, con tassi tumorali pari a quelli di Shangai. Ma questa è storia nota che puzza di vecchio, e piangere sul latte versato serve a poco. Purtroppo l’ignoranza e la mancanza d’esperienza del tempo non potevano far prevedere a cosa saremmo andati incontro negli anni a venire. Per questo non condanno i miei padri e i miei nonni, ma condanno chi ancora oggi riesce a farsi abbindolare da queste misere trovate di marketing.
Proprio per questo, quei cartelli visti in tutte le stazioni di Londra, tutt’un tratto hanno smesso di essere un motivo di speranza e sono diventati a loro volta un altro specchietto per le allodole. Al pari della grande industria degli anni 60. La pubblicità più corretta sarebbe questa: un ombrellone, una sdraio, un mare caraibico e una scritta altrettanto gigante: “We are in Puglia, ma non girare l’obiettivo della macchina fotografica!”. Per pochi e semplici motivi: non c’è un minimo piano turistico che permetta alla mia terra di poter ospitare turisti. Non si investe e non ci sono fondi per la costruzione di impianti alberghieri e attrezzature che possano ospitare al meglio chi viene a visitarci. Si dovrebbe creare un’area no-tax che permetta agli investitori privati locali di fare investimenti e costruire impianti degni di questo nome. Così si permetterebbe una crescita economica senza intaccare le scarse casse dello Stato. Ahimè il turismo che si pubblicizza in quei grandi cartelloni, andrà ad arricchire i soliti 4 noti campeggi del Salento, porterà turisti inglesi nei soliti 4 hotel di Otranto e inonderà come al solito la regione di squattrinato turismo giovanile che si accamperà sulle spiagge e nelle pinete e creerà grosse quantità di rifiuti che non si saprà come smaltire. Porterà un traffico di auto chilometrico su una litoranea che ha delle strade che non sono assolutamente attrezzate ad ospitare un flusso di gente che supera le 2 milioni di presenze nella settimana di Ferragosto. Per non dire, se mai un migliaio di ipotetici turisti tedeschi decidesse di venire sul litorale tarantino, in quale albergo li ospiteremmo? Nelle ville abusive di Marina di Lizzano, Torricella e Maruggio? In quale spiaggia li metteremmo a loro agio? In quali parcheggi faremmo parcheggiare le loro auto senza che queste invadano pinete e zone naturali dalle quali le auto dovrebbero stare alla larga? Io credo che sia esercizio troppo facile riempirsi il petto d’orgoglio e vantarsi con i propri amici di quant’è bella la nostra Puglia. Sarebbe più corretto dire che la Puglia è bella e maledetta, e quando ci penso mi vengono in mente le parole di una modella brasiliana della quale non ricordo il nome. Parlando della protesta del suo paese contro i campionati del mondo di calcio, si domandava: “a cosa serve per il piccolo commerciante decuplicare la vendita di gelati e bevande per un mese? Forse a farlo stare bene nel mese successivo e poi?”. Utilizzo questa riflessione per la mia regione e soprattutto per la mia città: a cosa serve vendere più birre per dieci giorni se dal 1° settembre torneremo ad essere la città dell’acciaio e dell’industria pesante? Proprio per questo non voglio fumo negli occhi, e non voglio buttarlo a voi turisti che venite in Puglia. Chi vuole davvero bene alla propria terra, dovrebbe quotidianamente lottare e denunciare chi fa di uno dei posti più belli d’Italia, un gabinetto e una discarica a cielo aperto. E' abbastanza inutile pubblicare foto di psiagge incantate agli inizi di luglio. Un po' troppo poco dal mio punto di vusta. Non me ne vogliate allora se a me del turista inglese che va ad arricchire i soliti quattro noti che pagano a nero i propri dipendenti non me ne frega un benemerito. Non ve la prendete e non storcete il naso se davanti al mio rifiuto di essere felice ad atteggiarmi con i miei amici di com’è bello essere pugliesi e tarantini per un mese all’anno, vi dico le cose come stanno nei successivi 11. Nessuno può dire ormai che non sa. Non ve la prendete se per l’ennesima volta vi faccio presente che ci stanno prendendo in giro con sta storia del turismo e questo altro non è che un contentino per ripulire l’immagine di una regione martoriata da mille problemi e che costringe il 50% dei propri giovani con età inferiore ai 30 anni di emigrare altrove. Abbiamo subito di tutto per troppi anni, non chiudiamo gli occhi ancora una volta, non accontentiamoci come sempre del piatto di pasta oggi per poi morire domani. Come sempre la risposta più bella e signorile la dà l’arte e la satira, come cantava Caparezza in una famosa canzone di qualche anno fa: “Vieni a ballare in Puglia, nei campi di pomodori, dove la mafia schiavizza i lavoratori e se ti ribelli sei fuori, abbronzatura da paura con la diossina dell’Ilva, c’è chi ha fumato i veleni dell’Eni e chi ha lavorato ed è andato persino in coma […] Turista tu canti tu balli, io conto i defunti di questo paese, dove quei furbi che fanno le imprese non badano a spese e pensano che il protocollo di Kyoto sia un film erotico giapponese, vieni a ballare in Puglia, dove la notte è buia, chiudi le palpebre e non le riapri più, vieni a ballare grattati le palle pure tu […] Turista tu resta coi sandali, non fare scandali, se ci siamo dimenticati di essere figli di emigrati, mortificati non ti rovineremo la gita, passa dalla Puglia, passa a miglior vita”.
Sempre citando Caparezza: se ho detto qualcosa di falso, denunciatemi per vilipendio al turismo di massa!
CASO WIKILEAKS: AL VIA IL PROCESSO AL MILITARE AMERICANO BRADLEY MANNING
03.06.2013 17:40
E’ iniziato oggi a Fortmid nel Maryland, la base militare dove ha sede la National Security Agency, il processo a Bradley Manning. Il militare americano, impegnato come analista dell’intelligence militare durante la guerra in Iraq, è stato arrestato 3 anni fa, con l’accusa di aver passato a Wikileaks di Julian Assange, informazioni militari segrete che fecero scoppiare un caso internazionale. Le sue rivelazione avrebbero minato la sicurezza nazionale, diffondendo informazioni sensibili sulle operazioni militari. Manning, si è già dichiarato colpevole di fronte alla Corte Marziale di 10 capi d’imputazione su 21 dei quali è accusato, come la violazione della disciplina militare, ma si è dichiarato innocente di fronte all’accusa più grave: quella di aver aiutato volontariamente il nemico e Al-Qaeda. Rischia 154 anni di carcere. Sempre nella cittadina dell’East Coast, oltre duemila persone hanno manifestato, cantato e urlato la propria indignazione nei confronti dell’arresto di Manning. I suoi sostenitori riuniti nel “Bradley Manning support network” (www.bradleymanning.org), sostengono che grazie a lui si sia potuto far luce sui lati oscuri della politica estera americana e della guerra in Iraq.
IL DRAMMA DI TARANTO: MORIRE A NORMA DI LEGGE
20.01.2013 10:47Monti e Clini a colloquio sul caso-Ilva
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Così è deciso, l'udienza è tolta. Sarebbero le parole di un qualsasi giudice dopo la lettura di una sentenza. Ma questa volta, questa frase, non proviene dall'aula di un Tribunale, ma risuona in una conferenza stampa, indetta per rendere ufficiali l'applicabilità del decreto, divenuto noto con il nome di "salva-Ilva". Erano tutti presenti: Monti, Clini, Vendola, la Cancellieri, la Camusso, i vertici del comune di Taranto e il presidente dell'Iva spa. Una scena patetica, non si era mai vista tanta unità di intenti, un teatrino creato ad arte e mandato in pasto alle televisioni. Per la prima volta in un paese che si definisce civile, diventa effettivo un decreto legge creato ad hoc per salvare un'azienda, che da più di 15 anni si macchia dell'ignobile reato di avvelenare la terra che la ospita, provocando patologie oncologiche sulla cittadinanza tarantina, violentata quotidianamente da fumi e polveri nocive, e da oggi condannata a morte a norma di legge.
Ma la cosa ancora più grave, che lascia senza parole, è il conflitto di potere che questo Governo (non eletto dal popolo e decaduto da un pezzo), a poco più di un mese dalle elezioni, ha assunto contro il potere giudiziario, oltrepassando prepotentemente i propri limiti, irrompendo nelle decisioni della Magistratura, sbugiardanola e ordinandole di adeguarsi a questa legge ignobile. E' proprio questo il succo del contenuto della farsa che si è tenuta davanti alle telecamere il 18 gennaio scorso. Senza scomodare il principio della "divisione dei poteri" di Montesquieu, tutti sappiamo come nessuno di questi tre poteri ha facoltà di intervenire e togliere legittimità a una decisione assunta da un altro potere, e che quando ciò avviene, tecnicamente non si è più in democrazia. Con buona pace per tutti.
In tutto questo, come contorno, c'è la famiglia Riva: è stata una vittoria su tutti i fronti per il vecchio padre Emilio (ai domiciliari nella sua prigione dorata) e per il figlio Fabio (latitante in chissà quale paese tropicale). Per la prima volta, dopo i fasti delle leggi ad personam berlusconiane, siamo passati alle leggi ad aziendam. Una situazione grottesca, dove chi dovrebbe far rispettare la legge coglie il ladro in flagranza di reato, e a quel punto, chi dovrebbe assicurarlo alla giustizia e ritirargli la refurtiva interviene, dicendogli: "va bene per questa volta ti perdono, hai sbagliato, ma non farlo più!". Successivamente, gli crea un decreto legge ad hoc, per costringere la Magistratura, unico organo che sembra interessarsi alla salute dei propri cittadini, a non poter più avere potere decisionale a riguardo. A memoria d'uomo, non si ricorda uno scempio del genere, in nessun paese democratico. Da tarantini, ci troviamo in una condizione, dove dobbiamo morire a norma di legge. Viene calpestato per sempre il diritto fondamentale delle Costituzione, quello del diritto alla tutela della salute prima di ogni altra cosa. Tutto questo a favore del mero interesse economico.
L'aspetto inquietante che salta per l'ennesima volta all'occhio in questa Italietta, è la completa mancanza di autonomia della politica, sempre più soggetta a farsi influenzare o addirittura manipolare e controllare dai poteri economici. Un Governo ignobile, che lavora a senso unico nella tutela delle banche che deve salvare dal crac finanziario e delle aziende che possono permettersi il lusso di ricattare. E questo è l'aspetto fondamentale, la vera deriva democratica di tutta questa sporca faccenda, è la constatazione di come un gruppo economico forte, possa tenere letteralmente "per le palle" un Governo, costringendolo ad adeguarsi alle proprie volontà e non il contrario.
Ancora una volta, la Magistratura ha sbattuto i pugni sul tavolo e ha impugnato la legge alla Corte Costituzionale, sinceramente nessuno nutre ormai alcuna speranza, visto che i nostri cari politicanti e amministratori hanno dimostrato di essere maestri nell'arte dell'aggiramento della legge. Non so se esiste ancora una soluzione pacifica a tutto questo, è da un qualche giorno che l'azienda più prepotente e fuorilegge d'Italia, minaccia, forte della sua impunità, di non pagare gli stipendi agli operai, utilizzando ancora una volta, con quell'arroganza che la contraddistingue da quasi un ventennio, il ricatto della cassaintegrazione. Nessuna parola, nessun cenno, invece, da parte dei soliti governantucoli da quattro soldi, sui miliardi di utili fatturati dal gruppo Riva negli anni e prontamente fatti sparire a tempo debito, su conti esteri. Si propongono "Aie" e soluzioni a effetto, ma nessuno ci dice come i Riva dovranno ripagare i danni da loro perpetuati per anni, nè come bisognerà recuperare i soldi che permetterebbero all'azienda di mettersi a norma.
In tutto questo a pagarne le conseguenza più di chiunque altro, la città di Taranto, condannata a morte per sempre al suo destino inesorabile. Una città che è gia morta e non lo sa. Una città che non investe nello sviluppo delle risorse, nella cultura, per fortuna ci pensano esemplari associazioni culturali semplici di gruppi di cittadini autonomi e autofinanziati. Una città che ha perso più del 50% dei propri under 30, fuggiti prima nelle Università del nord e successivamente migrati all'estero a ingrassare economie straniere. A nessuno, poi, importa un tumore in più o un tumore in meno, l'importante è tutelare il potere economico, finchè non si è toccati da certe tragedie, anche la parola "cancro" diventa uno di quei petardi semantici ripetuti quotidianamente da giornali e televisioni, una parola che non ci spaventa più, priva di significato. Per la prima volta, tutto questo la maggior parte dei tarantini lo hanno capito, non si baratta la salute per nessun lavoro al mondo, sono nate anche qui associazioni spontanee di cittadini che si ribellano a questa mannaia sulla testa. Come tutte le rivolte popolari che partono dal basso, si è sviluppata ed è cresciuta giorno dopo giorno, una coscienza sociale e collettiva che era impensabile sino a qualche anno fa. L'unica cosa che mi rende orgoglioso, in questa tragedia, è la forza encomiabile con la quale i miei concittadini e alcuni magistrati stanno combattendo questo flagello che si è abbattuto contro di noi, e che ha goduto della connivenza criminale di istituzioni di tutti i livelli. Non poter essere quotidianamente al loro fianco e stare dietro una monitor a leggere impotente quel che succede è qualcosa che mi lacera.
Alla luce di questo, mi piacerebbe guardare negli occhi, tutti coloro che siedono nei palazzi dei poteri, a qualsiasi livello, i benpensanti e i giornalisti che cagano sentenze senza nemmeno sapere di cosa stiano parlando. Mi piacerebbe dirgli che probabilmente non faranno mai un giorno di galera, forse continueranno a vivere nella loro ingordigia di potere ancora per qualche tempo (continuando ad essere sordi ai bisogni di coloro che mantengono i loro dorati stipendi), ma non ci sarà magistratura alla quale loro potranno mettere i bastoni tra le ruote, quando a giudicarli sarà la storia. Perchè tutto ciò che è avvenuto in questi ultimi mesi è già storia e alla storia non si sfugge mai. Sarà la storia a coprire di sterco questo Governo e tutti i personaggi che ci girano attorno. Che la loro deriva morale possa essere per noi nuove generazioni, un ammonizione per il futuro. Nel frattempo provo disonore, imbarazzo e vergogna nell'essere un cittadino italiano.
BOATENG: SVOLTA EPOCALE O SOLITA RETORICA?
04.01.2013 15:35Boateng e il Milan, abbandonano il campo dopo gli insulti razzisti ricevuti dal ghanese.
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Ormai, con una ciclicità imbarazzante, ci ritroviamo a parlare sempre del solito noioso e becero problema del razzismo negli stadi. Fiumi di inchiostro sono stati scritti, tutti hanno espresso il loro pensiero: giornalisti, opinionisti, calciatori, intellettuali, perbenisti e moralizzatori dell'ultimo momento. Ma il nodo della questione, dal mio punto di vista, è sempre lo stesso. Servirà un pallone scagliato con rabbia verso gli spalti dello stadio di Busto Arsizio, da parte del calciatore di origine ghanese, per mettere una volta per tutte al centro del dibattito politico nazionale la questione razzismo?
Si rimane sempre basiti, quando si assiste allo spettacolo di poche scimmie urlatrici, che anzichè godersi lo spettacolo e supportare la propria sqadra del cuore, sfogano le proprie frustrazioni dovute alla loro misera esistenza, in ululati che a mio modo di vedere, non insultano il calciatore di colore di turno ma il loro misero cervello. Ma non voglio cadere anche io, nella retorica spicciola. La domanda che mi pongo è questa: si affronterà sul serio il problema? O come sempre tutto questo parlare, servirà solo a scrivere qualche articolo di giornale e vendere qualche copia in più? Inoltre, siamo sicuri che se questo fosse accaduto, non in una semplice amichevole di un campo di seconda categoria, ma in una partita di cartello, o meglio ancora in Champion's League, tutto questo moralismo non sarebbe stato sopito, da un semplice "è sempre stato così e sempre lo sarà?".
Purtroppo siamo arrivati al punto, dove uno degli sport più belli del mondo, sicuramente uno dei più seguiti, non ha più nulla a che fare con quei valori sportivi che dovrebbero essere alla base della competizione. Si parla sempre meno di calcio giocato, e si entra sempre più negli anfratti privati della vita dei protagonisti. Ma peggio ancora, siamo sicuri che in una partita a San Siro, davanti a 60mila persone, la reazione e l'indignazione sarebbe stata la stessa? Perchè il calcio ormai è diventato solo business, si dice sia la terza industria per fatturato in Italia. Alla luce di questo, staremmo tutti dalla parte del Boa, o ci sarebbero quei soliti ignoranti dalla risposta facile che direbbero: "è un calciatore che guadagna milioni di euro, quindi dovrebbe tapparsi le orecchie ed avere un comportamento meno plateale e più da professionista?".
Ricordo tristemente, l'episodio di Zoro del Messina, calciatore ivoriano, ingiuriato qualche anno fa dai tifosi dell'Inter, sempre per il colore della sua pelle. La sua reazione fu rabbiosa, simile a quella di Boateng, ma quella era una partita ufficiale, sia i nerazzurri che il Messina, si giocavano molto, e il tutto finì con i soliti fiumi di retorica e il calciatore costretto a riprendere il suo ruolo in campo.
E' esercizio semplice e spesso sbagliato quello di condannare una comunità nella sua interezza; ci sarà molta gente di Busto Arsizio indignata per quello che è successo nell'impianto della propria cittadina, ma non è da sottovalutare, la provenienza geografica di questi insulti. Sento dire da tempo che è sbagliato mettere in mezzo la politica, quando si parla di cose frivole come il calcio, ma se la politica non interviene su episodi cosi gravi, mi chiedo quando deve farlo. Molto più semplicemente, ormai è chiaro, come in determinate zone d'Italia, manca una certa cultura dell'accettazione del "diverso". Non a caso, la cittadina lombrada, dove è avvenuto il misfatto poco dista dalla città di Varese, roccaforte della Lega Nord, città natale di Roberto Maroni, non certo un politico che si è distinto negli anni per l'accoglienza ai migranti.
Proprio per questo, anzichè indignarci oggi e girarci dall'altra parte domani, ricordiamo che questi personaggi, portatori insani di xenofobia e razzismo li abbiamo visti seduti in Parlamento, ricoprendo le più alte cariche istituzionali, sono gli stessi che per molti anni hanno prima legiferato e poi fatto proliferare quella cultura della non accettazione del vivere pacificamente nei confronti di gente proveniente dai più lontani paesi e delle più svariate etnie.
Chiederei a chi di dovere, di affrontare il problema una volta per tutte e di evitare di criminalizzare il calcio e sopratutto riempirci gli zebedei con questo moralismo insopportabile, con quella retorica spicciola che contraddistingue l'opinione pubblica ogniqualvolta si affronta l'argomento razzismo. Bisogna dare un taglio netto al passato, avere il coraggio di denunciare, e quotidianamente prendere le distanze non solo da chi si macchia di questi insopportabili comportamenti, ma sopratutto condannare quelle parti istituzionali, che non solo non fanno nulla per risolvere la questione una volta per tutte, ma anzi, istigano gli ignoranti nei loro comizi per poi fare le belle facce in televisione e minimizzare il problema.
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